Serena Tarantino, insegnante di lettere alla Scuola Media, volontaria di El Comedor, ha iniziato un lungo viaggio che la condurrà in India e in Nepal, allo scopo di comprendere i progetti di Bhalobasa in India e di El Comedor in Nepal.
Sarà anche una splendida occasione per riflettere sul senso profondo dell’essere insegnante.
Ma lasciamo parlare Serena:
10 luglio 2025
In India tutto è forte: i suoni ininterrotti dei clacson che mi fanno da sveglia, i colori di giorno e le luci di notte, i sapori dei piatti speziati e piccanti, gli odori del cibo di strada e il tocco delle mani dei bambini. Dopo un giorno e mezzo di viaggio costellato da paure di ogni tipo e puntualmente scardinate, questa mattina scendo a fare colazione e parlo con alcuni giovani volontari di un numeroso gruppo composto da spagnoli e latinoamericani, che sono qui per fare servizio in diverse strutture di assistenza della città. Mi colpisce molto il desiderio che hanno di mettersi a disposizione del prossimo e di scoprire il mondo: è proprio ciò che voglio trasmettere ai miei studenti. Anch’io sono qui per lo stesso motivo: da insegnante voglio capire cosa fanno a scuola bambini e ragazzi di altre culture e offrire in cambio un po’ del mio mondo e del mio aiuto, per quello che posso. I collaboratori dell’associazione Bhalobasa mi portano subito in una scuola per giovani dai 3 ai 13 anni circa che vivono in case di lamiera lungo i binari del treno. Sono all’incirca 25 (ma in certi momenti dell’anno mi dice l’insegnante anche 60) e mi accolgono subito con i loro sorrisi e la loro cerimonia di benvenuto: una collana di fiori al collo e un bindi sulla fronte. Alcuni di loro si presentano e mi raccontano chi sono e cosa vogliono fare da grandi, altri invece si esibiscono in sinuose danze indiane. Arriva poi il mio turno: dopo una breve presentazione, vengo a sapere che una delle lezioni che fanno è yoga e ci lanciamo subito in uno scambio reciproco di esercizi e risate;-) Poi arriva anche il momento della danza: metto una ipnotica pizzica e gli insegno i pochi passi che conosco della mia danza preferita. Mentre loro si divertono un mondo, noto con sorpresa che alcune sonorità ricordano quelle indiane: possibile sia arrivata fino a noi la loro musica? Poi ci riposiamo un po’, i frenetici ritmi della pizzica hanno acceso un po’ troppo l’entusiasmo e l’energia.
Mi colpisce la determinazione e l’intraprendenza di un bambino senza un braccio e una gamba: mi dicono che li ha persi perché si era addormentato sui binari del treno e mi sembra una storia incredibile, ma la vita qui sembra fluire senza troppe regole o paure; basti vedere anche come guidano per strada, è come trovarsi in un lunapark infinito di autoscontro e montagne russe. Prima di mangiare facciamo un po’ di scambio culturale: io insegno le parole base dell’italiano e loro le scrivono in indi, che non è l’unica lingua parlata a Calcutta: oltre all’inglese infatti si usa anche il bengali. Ciò che li fa ridere di più è la mia pronuncia sbagliata di tutti i nomi indiani. Consegno poi a ciascuno di loro una piccola spilla peruviana che la mia associazione, El Comedor Estudiantil Giordano Liva, ha portato dal Perù e con questa scusa facciamo anche un po’ di Geografia. Peccato che una bambina mi dica che non ama la storia perché è noiosa: io la adoro invece, perché ci spiega il presente. Dopodiché alcunə ragazzə vanno a scuola fino alle 17. Arriva il momento del pranzo, che avviene seduti in cerchio, e poi come digestivo si riattacca con la danza del limbo, la mia preferita nelle feste tra amici. Anche a loro piace e sembra non la conoscano, per questo dopo un po’ preferiscono saltare il nastro tirato, piuttosto che passarci sotto. La giornata si chiude con i giochi più internazionali: un classico nascondino e “Un due tre stella”, nonché qualche “vola vola” (sempre amato dai bambini). Torno a casa con il canto del muezzin, mangio con padre Antony e i suoi collaboratori e mi addormento con in testa le gioiose urla degli amici spagnoli: tutto questo è vita!
11 luglio 2025
Oggi la giornata inizia con la visita alla casa di Madre Teresa di Calcutta. Rimango colpita dalla potenza delle parole appese alle pareti del piccolo museo adiacente alla cappella con la sua tomba, in particolare dall’importanza che la beata attribuiva all’amore: più che di cibo le persone hanno bisogno di amore, diceva. E poi ancora: “L’amore genera amore”. Parole e gesti di una potenza semplice e dirompente, come quelli del Mahatma Gandhi, che incontro sui pannelli esposti al Victoria’s Memorial: mi sono chiesta se sia un caso che due grandi anime come loro siano vissute in India. Non può esserlo mi dico e mi chiedo perché tutto in questo paese sia estremo. Strano a dirsi per un’amante dell’arte, ma né i monumenti né il New market mi scaldano il cuore: mi colpisce però il fatto che alcune persone vogliano fare delle foto con me e che una bambina dentro al museo mi chieda da dove vengo. Evidentemente Calcutta conosce solo un turismo interno che sembra poco abituato a vedere gli europei, siamo perciò un’attrazione da fotografare. Ma forse siamo qualcosa di più che una rarità, forse rappresentiamo il benessere a cui tutti gli esseri umani hanno il diritto di aspirare. Dopo pranzo arriva il momento di conoscere un altro centro di educazione e aggregazione per i giovani che abitano nello slum di Chandni Chowk, sostenuto dall’associazione Bhalobasa. Mi ricevono calorosi ma composti con gli stessi riti di accoglienza che mi hanno riservato gli studenti ieri, dopodiché mi presento, mostrando le foto della mia famiglia e della mia città. Lo spazio non consente di svolgere molte attività, perciò dopo un po’ iniziano ad agitarsi, ma si dimostrano molto desiderosi di venire a scrivere il loro nome alla lavagna. L’attenzione e l’amore è ciò di cui abbiamo più bisogno, dovremmo sempre tenere presenti le parole di Maria Teresa, soprattutto noi insegnanti. Conosco anche le donne che lavorano come sarte nello stesso locale e acquisto un bel vestito indiano che rende molto orgogliosa la sua creatrice. Ma è la possibilità di vedere dove vivono questi ragazzi il vero valore aggiunto della visita: mi aiuta a capire meglio l’importanza di queste scuole informali, che rappresentano un rifugio da “case” che non sempre hanno quattro mura come le nostre o da banchi per la vendita dietro ai quali vivono persone e ratti. Tra i giovani mi colpisce in particolare una ragazza ben vestita, che parla molto bene l’inglese e vuole fare la reporter: ha 18 anni, ha fatto domanda per frequentare un college ed è in attesa di risposta. Quando mi fa vedere il banco della vendita di sua madre, capisco quanta motivazione nello studio possa dare ad alcune persone la volontà di uscire da condizioni di estrema povertà. Camminando tra i vicoli strettissimi di una città di per sé molto ricca di acqua, mi chiedo come debbano trasformarsi questi slum quando piove molto e la risposta non tarda ad arrivare: un’ampia porzione di strada è allagata e non si può passare da quella parte. Torno in ostello frastornata dalla giornata intensa, ma una ricca cena a base di ottimo cibo indiano e le chiacchiere con padre Antony mi rianimano e mi fanno chiudere con un sorriso anche il secondo giorno.








