di Simona Caroti

Lo scatto vincitore del World Press Photo di quest’anno è della fotografa palestinese Samar Abu Elouf (si può visualizzare cliccando qui) e ritrae un bambino mutilato a causa degli attacchi israeliani a Gaza.
Un’immagine che racchiude un dramma terribile, gli occhi del bambino, infatti, sono bassi, quasi invisibili… non rivolti verso l’obiettivo, ma senza una luce, un palpito, senza una direzione. Fermi. Come la sua vita, bloccata.

Perché i bambini e le bambine di Gaza sono tutti mutilati e se non sono arti a mancare a mancare è tutto. La scuola, il conforto della quotidianità, il cibo, la sicurezza, l’amore della famiglia, spesso uccisa, I giochi, gli ospedali, le cure, i giochi, i compiti. I bambini e le bambine di Gaza sono crudelmente sospesi in una dimensione di vita che invece di allargarsi, vista la loro età, si restringe sempre più, mentre avanza la distruzione. Perché a Gaza manca l’aria, manca la vita. In ogni senso.

Sembra che nessuno nel mondo, a parte le ong e le associazioni che fanno l’impossibile, pensi a questi bambini, ai bambini di Gaza.

Ogni 45 minuti muore un bambino, ci fa sapere Save the children, ne sono morti 20.000 di bambini dall’inizio della guerra. 950 da marzo, da quando da quando il governo di Benjamin Netanyahu ha violato la tregua ricominciando a bombardare quartieri residenziali, a uccidere innocenti.
Un milione di bambini rischia la fame, le malattie e la morte.
Nel nord della Striscia si mangia cibo per animali, mangime, farina scaduta e mescolata con la sabbia. Si mangiano foglie.
Mentre a qualche metro centinaia di camion colmi di aiuti attendono di entrare. L’Onu fa sapere che solo quelli potrebbero sfamare la popolazione per almeno quattro mesi.

4.500 bambini necessitano di evacuazione medica urgente, ci racconta Medici senza Frontiere. Nonostante tutto sono bloccati a Gaza, con gli ospedali distrutti. E quei bambini che sono stati curati sono stati forzati a tornare laddove si sono ammalati o sono stati feriti gravemente.

I bambini di Gaza, dimenticati e senza neanche il diritto di una convalescenza in un luogo sicuro, a rischio di bombe anche mentre si stanno riprendendo. Ma come si può consentire tutto questo?

Ogni bambino e ogni bambina ha una storia… ma come si concluderanno quelle storia non possiamo saperlo. E quanto, in ogni caso, peserà ciò che hanno passato su una auspicata e ipotetica libertà… non possiamo saperlo.

Perché i bambini e le bambine di Gaza non hanno diritto a un futuro?

Come si fa a non pensare ai bambini e alle bambine di Gaza? Sono i bambini e le bambine di tutto il mondo. Sono i bambini e le bambine di tutti e di tutte noi. Il silenzio e l’indifferenza sono assordanti… un rumore più forte di quello di un bombardamento.

Quanto pesa la lacrima di un bambino? Tanto, tantissimo, troppo, sempre. Quella di un bambino affamato, malato, abbandonato, trascurato, abusato… pesa più di tutta la terra.
Parafrasando Rodari.

“Non conosco il tuo nome
e questo pensiero non mi abbandona.
Voglio dire il tuo nome,
per tenerti in vita.
Perché non so se lo sei.
Ma quando chiudo gli occhi, ti vedo.”

La poesia esiste per ingannare l’impotenza di scrivere le lacrime.