Il 4 novembre alcuni volontari del Bhalobasa incontrano Don Gallo.
Siamo arrivati a Genova dopo un viaggio interminabile. In auto, io, Silvia, Giovanni, Ettore e Tiziana. Il clima nell’abitacolo è gioioso, pieno di aspettative, assolutamente incurante della pioggia battente e della coda. Ci dispiace solo non arrivare in tempo da Don Gallo.
Ma Don Gallo ci aspetta con i suoi amici e ci accoglie. Ci sediamo ad una tavola ben preparata, un po’ intimoriti da tanta ospitalità. Spesso pensiamo di avere, noi fortunati, il fardello dell’accoglienza sulle spalle, quasi il dovere del dono, del gesto caritatevole che alleggerisce la coscienza. Fa un effetto strano scoprire che il dono ce lo fanno loro, quelli che il caso ha voluto “diversi”.
Prima di incontrare Don Gallo, tanti altri incontri, corpi appena sfiorati eppure abbracciati, sguardi di intesa.
La tavola è ben preparata, gli arredi spartani parlano di vite vissute, forse interrotte da una qualche parte e poi riprese, come fili riannodati a fatica per ricominciare a tessere la trama dell’esistenza.
Ci sediamo e cominciamo a gustare i cibi preparati per chi si sarebbe trovato a mangiarli, per la famiglia che sarebbe comunque arrivata, quel giorno o quello dopo, donne, uomini, bambini… del nord, del sud…. di ogni dove.
Don Gallo parla con Don armando, ci guarda tutti, curioso e attento. Siamo venuti per intervistarlo e ora che siamo qui è lui che interroga noi, vuol capire chi siamo e cosa ci muove. Le sue domande sono dirette. Vuol sapere soprattutto in cosa crediamo. Quali sono le nostre “ idee portanti”.
Lo capisco, non si può perdere tempo con le parole che non significano, ne abbiamo perso troppo tutti quanti. Non c’è più tempo. E allora diciamoci subito chi siamo, se ci anima la passione. Ce l’avete la passione ? Bella domanda. Ma per chi vive l’esperienza del Bhalobasa è una domanda retorica. Don gallo non può saperlo, noi sì. Fa presto quest’uomo a venire al sodo. Si rivolge a Sonia e le chiede se i suoi figli hanno avuto problemi di integrazione. La domanda è diretta: -:
– L’integrazione avviene? Come si comporta la scuola ? e la chiesa?-
E’ chiaro che sa bene che né l’una né l’altra sono state all’altezza in molte occasioni. E in molte altre sì, ma non è bastato.
Poi racconta storie di ostilità, di sicuro ne ha viste tante e qualcuna potrei raccontarla anch’io. Silvia ne racconta una per tutte, l’episodio di intolleranza a Tirrenia di due anni fa. Si può arrivare a distruggere tutto per non accogliere.
Poi una domanda bellissima:
– Siete laici? qualunque azione deve tendere a restare umani.-
Ci ricorda la forma della croce, la sua verticalità e la sua orizzontalità. Ci invita a stare con i piedi per terra. E’ un vecchio sogno infranto e dimenticato. Il paradiso qui ed ora. Quelli della mia generazione forse, spero, ne hanno conservato il ricordo.
La laicità è fondamentale. Lo dice Don gallo, lo dice un prete. La laicità permette l’integrazione, spezza le catene, apre le porte. Un giovane suicida non poteva entrare in chiesa fino a non molto tempo fa, un omosessuale può essere costretto a nascondere la propria identità anche oggi, un trans non può che solcare i marciapiedi, un tossicodipendente è un rifiuto umano e nessuno gli offrirà mai un’opportunità di riscatto. Porte che si chiudono. Sempre.
E Don Gallo quelle porte le ha aperte, da sempre a tutti, agli umiliati e agli offesi, ai derelitti e ai diseredati. A Bocca di Rosa ,a Michè, a Geordie, alla graziosa di via del campo. Perché, come dice lui, “un uomo è buono quando è giusto”. E la dimensione in cui si muove l’uomo è sempre una dimensione terrena, pubblica, politica.
Difficile resistere al fascino di quest’uomo e dei suoi amici.
Ci congediamo.
Nel dormiveglia, sul pullman che ci riporta a casa, tra le note di De Andrè, vedo gli occhi incantati di Ettore e quelli curiosi di Tiziana. Penso che la speranza sia lì.
Poi rientro nelle mie infinite contraddizioni e mi condanno e mi perdono perché le so.